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giovedì 1 aprile 2010

Il popolo dei lavoratori senza diritti

Anche questa sera, giovedì 1 Aprile, la puntata di Anno Zero è riuscita a scandalizzarmi... è per me infatti inaccettabile usare le miserie della vita umana per fare del sensazionalismo o, ancor peggio, del moralismo peloso.

Mi riferisco al "servizio" che vedeva protagonisti due immigrati, assunti in nero per lavorare in uno o più cantieri edili, che, non vedendosi pagare le loro prestazioni, decidono, con la complicità del giornalista di Anno Zero, di creare una situazione tragico/drammatica salendo di loro sponte sulla cima di una gru e urlando a squarciagola "aiuto! aiuto!".
Nel frattempo il giornalista di Anno Zero ai piedi della gru si aggirava per il cantiere interrogando tutti quelli che gli capitavano a tiro...
Le domande avevano evidentemente due soli scopi: se quello che veniva interrogato era un lavoratore, si voleva misurarne la solidarietà con i "colleghi" in pericolo di vita sulla cima della gru; se quello interrogato era invece un "responsabile" del cantiere, lo si voleva porre di fronte all'accusa di sfruttamento del lavoro nero.
Il teorema alla base del servizio è ovviamente questo: nei cantieri edili i lavoratori stranieri vengono "assunti" in nero, senza garanzie, sfruttati, e addirittura, a volte nemmeno pagati (come era il caso dei due protagonisti del servizio).

Il teorema è stato sostenuto benissimo in tutto il servizio senonchè il giornalista, mentre vaga all'interno del cantiere, si imbatte in un lavoratore e, prontamente, nell'ovvio intento di etichettarlo come sfruttato o sfruttatore, gli domanda: "sei in regola?".
E il lavoratore risponde: "sono un artigiano".
A questo punto il giornalista si trova spiazzato perchè non può considerarlo nè uno sfruttato, nè un collega degli sfruttati, nè uno sfruttatore... per cui passa oltre senza commenti.
Il commento invece lo faccio io ora... ed è un commento molto ma molto amaro sulla diseguaglianza di fatto con cui vengono, non solo trattati, ma anche mediaticamente "considerati" i lavoratori Italiani.

Qual'è la differenza tra i lavoratori in nero, che non sono stati pagati, che sono stati sfruttati, che hanno lavorato senza garanzie e che per tutto ciò sono saliti sulla gru ad inscenare la tragedia, e il lavoratore "artigiano" nel quale è incappato il giornalista?
La differenza è una sola: il secondo è andato all'agenzia delle Entrate e si è fatto assegnare un numero di Partita IVA, i primi non l'anno fatto.
Questa elementare distinzione puramente fiscale/amministrativa fa sì che i primi, se lavorano senza garanzie, senza sicurezza, se non ricevono il compenso per il loro lavoro, se vengono lasciati a casa da un giorno all'altro... allora sono delle "vittime", soggette allo sfruttamento altrui, e meritevoli quindi della solidarietà di tutti unitamente alla condanna dei loro aguzzini sfruttatori; mentre l'artigiano, il lavoratore dotato di partita IVA, se lavora senza garanzie, senza sicurezza, se (come spesso succede) non viene pagato per il lavoro prestato, se gli viene improvvisamente revocato il lavoro inizialmente assegnato... allora... beh... allora niente... è un "artigiano", sono i "rischi del mestiere" in proprio... anzi... quasi quasi c'è anche da dubitare sulla sua onestà dato che i possessori di partita IVA, in Italia, sono mediaticamente considerati quasi certamente evasori fiscali.
Abbiamo quindi una situazione reale in Italia che vede contrapposti due tipi di lavoratori.
Gli uni, dipendenti, che hanno diritto a garanzie di continuità, di sicurezza, di pagamento, di ferie, etc... gli altri, i "non dipendenti", che sono lavoratori come i primi, ma che essendosi dotati di una propria posizione fiscale, non hanno diritto a nulla e nulla gli viene riconosciuto nemmeno mediaticamente.

A questo punto la domanda mi sorge spontanea: ma se quel giornalista di Anno Zero, invece di incoraggiare i due immigrati lavoratori in nero a salire sulla gru per generare dramma e tragedia, li avesse invitati a recarsi negli appositi uffici per dotarsi anch'essi di una propria posizione fiscale, trasformandosi così da lavoratori "in nero" in lavoratori "autonomi"/"artigiani"... non avrebbe contribuito a dare un esempio a milioni di Italiani e non, di come si può facilmente uscire dalla condizione di lavoratore "sfruttato", pur continuando a lavorare senza garanzie... compresa quella di venire pagato?

Il controsenso di oggi è questo:
In Italia, non avere o avere una propria autonoma posizione fiscale, fa la differenza tra l'avere o non l'avere "diritto a diritti e garanzie" quando si lavora.
Ci sono milioni di Italianissimi lavoratori, dotati di partita IVA, che quotidianamente lavorano senza alcuna garanzia... ma di questi lavoratori, e delle loro difficoltà e drammi, nessuno ne parla se non quando si tratta di dare la caccia agli evasori fiscali.

Saluti e...
buoni controsensi a tutti.

giovedì 8 gennaio 2009

Bruciare... in pubblico (tempo di lettura 12 minuti)

Ci risiamo...
a dieci mesi di distanza, il copione si ripete.
Sempre, perfettamente, uguale. (vedi quanto ho scritto qui, nell'articolo di marzo 2008).

Nel silenzio più assoluto dei media nazionali, ed in particolare dei TG RAI (per i quali questo silenzio costituisce "colpa grave"), da settimane e mesi i palestinesi "controllati" da (o "aderenti" ad) Hamas bombardano ininterrottamente la popolazione civile Israeliana con quotidiane gragnuole di ordigni esplosivi (comunemente definiti "razzi" dai nostri giornalisti), magari con l'aggiunta dei nuovi missili "Grad" a lunga gittata.
Poi, un ... giorno, parte la risposta militare Israeliana (a fine Dicembre 2008) e...
Boom!
Ecco L-A_N-O-T-I-Z-I-A!
E tutti, dico tutti, i giornali cominciano a parlare di "vittime", di quanto "è inutile la guerra", di quanto "è ingiusta" la guerra, di quanto soffrono i palestinesi, si fanno interviste a vari esponenti della cultura Israeliana (il direttore del concerto di fine anno a Vienna, il direttore del film valzer con Bashir) i quali, immancabilmente, hanno parole di condanna verso quello che sta facendo il loro paese e, magari, assieme alla martellante "cronaca" della "distruzione" e delle morti innocenti "causate" dall'esercito Israeliano, magari dico, a lato, di contorno, di sfuggita, passa anche quell'informazione che per mesi è stata taciuta:
che da giorni, settimane, mesi, sotto il quotidiano, ininterrotto, bombardamento di razzi e missili lanciati dai palestinesi di Hamas, nella striscia di Gaza (non dai territori della Cisgiordania) gli Israeliani (i civili, uomini, donne, bambini, anziani) per proteggersi, vivono rintanati nelle cantine dei loro edifici, nei rifugi; in un'esistenza da incubo, in sospeso, al suono delle sirene e delle esplosioni (interessante al proposito la lettura di questo articolo apparso sul Corriere della Sera).

Visto che, come ho detto sopra, il copione si ripete, anche in questa occasione non manca chi, durante una manifestazione, si mette a bruciare "in piazza" la bandiera dello Stato di Israele, magari in compagnia di quella degli USA.

Cominciamo col dire che dare fuoco ad una bandiera può significare solo una cosa:
manifestare il desiderio di vedere "distrutto" (tra le fiamme) ciò che quella bandiera rappresenta; ovvero, nel caso delle bandiere nazionali, un intero popolo.

E' una vera manifestazione di "odio" (il sentimento distruttivo per eccellenza) con chiare connotazioni "razziali" in quanto rivolto ad una "generalità" di persone identificate solo dalla loro appartenenza al "gruppo sociale" rappresentato dalla bandiera data alle fiamme.

In un paese come il nostro, dove anche la cattura (con eventuale collutazione e uso della forza) e la carcerazione di un delinquente di origini straniere e/o di "religione musulmana" può dare vita a infinite polemiche e feroci accuse di "razzismo" contro gli agenti che hanno eseguito l'arresto,
in un paese come il nostro, dicevo, è difficile comprendere come mai bruciare in pubblico la bandiera di Israele, la bandiera degli Israeliani, passi sempre nell'assoluta indifferenza dei telegiornali di Stato, che raramente, se non mai, ne danno notizia.
E' difficile comprendere come mai, a seguito di tali gesti pubblici palesemente carichi di odio razzista, non parta immediato il coro di dichiarazioni di sdegno e condanna che siamo soliti udire in altre occasioni.

Forse che bruciare in pubblico la bandiera di uno stato non sia considerato, dai nostri giornalisti, una pericolosa manifestazione di odio razzista?

Forse che per i nostri giornalisti, dare alle fiamme il simbolo di un "popolo" non è poi un gesto "così grave" da potersi guadagnare l'"onore" della cronaca?

Forse non lo è...
interessante a questo proposito la dichiarazione di Mercedes Bresso (esponente della sinistra italiana, e aderente al PD), presidente del Piemonte, nonché della Fiera del Libro di Torino, durante un'intervista rilasciata ad una giornalista del quotidiano L'Unità, secondo cui bruciare la bandiera del popolo Israeliano è una manifestazione "disprezzo e di volontà di violenza", verso quel popolo, che parte da "posizioni politiche anche comprensibili [...] condivise non solo dalla sinistra", e che si può definire come "reato d'opinione".

Ecco, forse qui già si può intendere qualcosa in più.
1)Bruciare la bandiera di Israele è un gesto che può anche essere "politicamente comprensibile".
2)Bruciare la bandiera di Israele è un gesto che riguarda l'espressione delle proprie "opinioni"; insomma, qualcosa che ha a che fare con il diritto individuale, tutelato dalla nostra Costituzione, di "manifestare liberamente il proprio pensiero"(art. 21).

Insomma, forse bruciare in pubblico il simbolo di un popolo, di un Paese, è un gesto, violento, di odio razzista che meriterebbe di essere riportato, almeno, dai giornalisti di Stato per essere pubblicamente denunciato ed essere, altrettanto pubblicamente e vivamente condannato da tutti gli esponenti del mondo politico, culturale e intellettuale Italiano, ma...
... ma,
... c'è un ma...
... se ad essere bruciata è la bandiera del popolo Israeliano, forse la condanna non sarebbe poi così "convinta" e non così "generale" e, forse, nemmeno tanto "giusta" visto che andrebbe in "conflitto" col succitato diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero.

Insomma, con tutte queste incognite... è "normale" che i giornalisti (soprattutto quelli "di Stato") si guardino dal fare denuncie che potrebbero non raccogliere il "necessario" "sostegno" politico.

E, infatti, non ne hanno fatte!
Se non fosse per la polemica seguita alle dichiarazioni del presidente della Camera, On. Gianfranco Fini, secondo le quali la recente manifestazione di protesta, svoltasi a Torino, durante la quale è stata data alle fiamme la bandiera del popolo Israeliano, costituisce un fatto ancor più grave dell'assassinio di un giovane da parte di quattro giovani "naziskin".
L'accostamento dei due fatti pare a prima vista assurdo e, a maggior ragione, la "scala" di gravità esposta dall'On. Fini; da qui tutte le successive polemiche "nazionali" che hanno tenuto occupati quasi tutti i mezzi di informazione.
In realtà è facile capire, per chi ascolta senza pregiudizi, che Fini si riferiva alla gravità "politica" dei due fatti a confronto, e non c'è dubbio che se da una parte l'omicidio del giovane è da definirsi un fatto criminale politicamente irrilevante (non ci sono state motivazioni "politiche" a scatenare l'aggressione assassina, ma "il rifiuto di una sigaretta"; inoltre la condanna del crimine è stata immediata e totale, senza distizioni, da parte di tutte le forze politiche, ed infine i criminali sono stati catturati e posti sotto processo), dall'altra la bandiera dello Stato Ebraico data alla fiamme in pubblico (per l'ennesima volta) da esponenti militanti nell'area della sinistra radicale, oltre ad essere un "reato" ed una chiara manifestazione di odio razzista, è un gesto con chiare ed evidenti finalità politiche la cui maggior gravità consiste, appunto, nel fatto che sul quel gesto cala il "silenzio" dei media, la "comprensione" di una parte della politica, l'"indifferenza" di un'altra, e, per finire, gli autori del reato, non risultano perseguiti per aver manifestato il loro di odio razzista (come è previsto dalla Legge).

Qualcuno potrebbe essere portato a credere che l'assenza di denuncia mediatica e politica non sia collegato alla specificità della manifestazione di odio diretto verso la popolazione Israeliana(=ebraica), ma proprio dal fatto che tale gesto costituisce una "libera manifestazione di pensiero" e pertanto, di per sè, non censurabile e non "condannabile".

Ebbene, le cose non stanno così... e lo dimostro con un semplice ma efficace esempio.

Si provi ad immaginare la reazione mediatica, per ciascuno dei seguenti gesti incendiari fatti in occasione di una pubblica manifestazione:
1)Un gruppo di persone, brucia un poster con il volto di Enzo Iacchetti
2)Un gruppo di persone, brucia un poster con il volto di Silvio Berlusconi
3)Un gruppo di persone, brucia la bandiera Italiana
4)Un gruppo di "Leghisti", brucia la bandiera Italiana.
5)Un gruppo di persone, brucia la bandiera Palestinese.
6)Un gruppo di aderenti a movimenti di estrema destra, brucia la bandiera Palestinese.
7)Un gruppo di persone, brucia la bandiera dell'Arabia Saudita
8)Un gruppo di aderenti a movimenti di estrema destra, brucia la bandiera dell'Arabia Saudita

Credo sia facile concordare che, partendo dal primo caso, si può immaginare che la reazione mediatica sarebbe via via più estesa e la denuncia/condanna, più forte e decisa, man mano che si prosegue verso l'ultimo caso, nel quale, con tutta probabilità è facile prevedere ripercussioni perfino sul piano diplomatico internazionale (ricordo le asprissime polemiche nazionali e le manifestazioni violente contro il consolato Italiano a Bengasi, in Libia, che sono seguite quando, il 15 Febbraio 2006, durante un'intervista televisiva del TG1, un senatore della Lega Nord, al tempo ministro delle Riforme, ha fatto intravedere uno scorcio della maglietta che indossava sotto la camicia, sulla quale avrebbe dovuto esserci stampata, ma non c'è stato modo di vederlo, una delle caricature pubblicate sul giornale danese Jyllands-Posten, ritenute offensive da esponenti della cultura musulmana in Europa e nel mondo. Vale la pena di ricordare anche che, per il suo presunto "reato d'opinione", il ministro Leghista è stato immediatamente inquisito dalla magistratura Italiana e posto sotto processo).

Si provi ora a immaginare, anzi, a ricordare la reazione mediatica, per ciascuno dei seguenti gesti incendiari fatti in occasione di una pubblica manifestazione:
1)Un gruppo di persone, brucia la bandiera di Israele
2)Un gruppo di aderenti a movimenti di "sinistra", brucia la bandiera di Israele
3)Un gruppo di persone, brucia la bandiera degli USA
4)Un gruppo di aderenti a movimenti di "sinistra", brucia la bandiera degli USA.

Nessuna denuncia, nessuna reazione, nessun dibattito politico, nessun "incidente diplomatico", nessuna ambasciata o consolato Italiano preso di mira da manifestanti in Israele, nè negli USA.

Mi ricordo perfettamente di un servizio trasmesso mesi fa su di un TG RAI, durante il quale si vedevano le immagini delle bandiere di USA e Israele date alle fiamme e si sentivano dei manifestanti scandire lo slogan " dieci, cento, mille Nassirya".
Ebbene, rimasi allibito, stupefatto e amareggiato nell'osservare che tutti i commenti di sdegno e condanna collegati a quel servizio, si riferivano esclusivamente allo slogan che offendeva la memoria dei nostri "eroi" caduti in Iraq.
NON UNA PAROLA, sulle bandiere date alle fiamme.

Chi è dotato di un minimo di onestà intellettuale non può non riconoscere in questa "disparità" di trattamento mediatico e di "giudizio" politico, l'esistenza di una vera "discriminazione".

Bruciare la bandiera del popolo Israeliano, dello Stato Ebraico, non viene considerato (dai mezzi di informazione) un gesto degno di denuncia e condanna per il fatto stesso che ad essere offeso e oggetto della manifestazione di odio è il simbolo dello Stato Ebraico, del popolo di Israele e non un altro; qualunque altro simbolo politico o bandiera data alle fiamme provocherebbe senza alcun dubbio una immediata denuncia e viva condanna.

Se non è questo il sintomo dell'esistenza, o meglio, della permanenza di un grave, anzi gravissimo, pregiudizio razziale "anti-Israeliano/ebraico" in Italia, ditemi voi cos'è.

Il controsenso di oggi è questo:
Che in un paese dove la "caccia al razzista" è un "sport" praticato quotidianamente da tutti i mezzi di informazione, "sfugga" quanto "odio razzista" e "razzista desiderio di annientamento" si manifesti allorquando, in pubblico, venga dato alle fiamme il simbolo dello Stato e del Popolo Ebraico.

Saluti e...
buoni controsensi a tutti.

sabato 1 marzo 2008

Per i nostri TG, 1000 razzi non valgono un solo "Kamikaze"

Ci risiamo...
Dopo settimane di silenzio assoluto sullo stato del mai sopito conflitto palestinese/Israeliano, all'improvviso... LA NOTIZIA
Sì, sì... L-A_N-O-T-I-Z-I-A, lo riscrivo, in stampatello maiuscolo e ben scandito perchè questo è la radice del problema che segna in modo profondo e pericoloso (per la formazione della "pubblica opinione"), il sistema informativo (o meglio, in questo contesto , dis-informativo ), giornalistico, pubblico e privato.
Oggi, per esempio, dopo settimane di silenzio, improvvisamente, tutti i telegiornali di Stato hanno inserito nella scaletta delle notizie del giorno un servizio sull'intervento militare Israeliano nella cosidetta striscia di Gaza, che ha comportato la morte di circa trenta palestinesi tra cui "miliziani" (altri li definirebbero "terroristi"), e "civili"; tra questi, come accade quasi puntualmente, tre bambini.
Questa, veramente in sintesi, LA NOTIZIA.
Ovviamente su questa "notizia", come su tutte quelle che riguardano il conflitto palestinese/Israeliano, il conteggio dei morti, feriti, danni, e la qualificazione di questi, cioè la distinzione in terroristi, "miliziani", "civili", "bambini", è lasciato a "fonti" che, molto comprensibilmente, NON VENGONO VERIFICATE prima di pubblicare o trasmettere dai telegiornali le "notizie" (a dispetto di quella che dovrebbe essere una delle principali norme deontologiche del giornalismo professionale).
Dico "molto comprensibilmente" perchè è noto che ormai, oggi, il giornalismo si fà soprattutto per telefono, per motivi "prestazionali" in primis (che si basa su quella competizione che vede un giornale/giornalista più "bravo" di un'altro se riesce a dare la notizia per primo); ma per quanto riguarda le notizie dal medio oriente si aggiungono altre complicazioni: una oggettiva difficoltà ambientale che rende difficile la raccolta diretta di informazioni da entrambi le parti in conflitto; e poi, soprattutto, la barriera culturale/linguistica.
Gli inviati Italiani non sono in grado di comprendere le comunicazioni e le "informazioni" che vengono trasmesse in arabo dai media locali, (anche quando a parlare sono gli stessi leader palestinesi) e si devono pertanto affidare alle "versioni in Inglese" opportunamente predisposte dai leader e "giornalisti" locali ad uso e consumo dei "colleghi" occidentali, tra cui, ovviamente, anche quelli Italiani.

Non starò qui a discutere sul tema della qualità del giornalismo Italiano in generale, mi basterà riportare due link trovati velocemente con Google inserendo le parole "deontologia giornalistica verifica delle fonti" nel campo di ricerca: http://www.bolognadue.it/angelorizzi/tecap12.htm, http://attivissimo.blogspot.com/2008/02/hostess-spogliarellista-video-autentico.html.
Il primo riporta un'estesa analisi dei tipici problemi legati al rapporto tra la "realtà" e la "rappresentazione" giornalistica; il secondo, un recente, divertente, e drammaticamente esemplificativo caso di mancanza di verifica sulle fonti.

Mi preme invece osservare come questa situazione deficitaria del giornalismo in generale, sia particolarmente devastante quando a venire trattate e trasmesse sono le "notizie" che riguardano la situazione in Israele e nei "territori Palestinesi".
L'effetto è "devastante" perchè produce costantemente una rappresentazione altamente distorta della "realtà" che indubbiamente influenza in modo determinante e fortemente emotiva "l'opinione pubblica" in merito al conflitto ed in particolare, condiziona il giudizio di merito sull'operato delle autorità Israeliane, su Israele nel suo insieme, e, in ultima analisi, sugli Israeliani in quanto ebrei.
Non c'è bisogno di sforzarsi molto per trovare anche nelle cronache più recenti, la registrazione in Italia di atti di ostilità, di censura, se non di manifesta violenza, da parte di gruppi organizzati (soprattutto legati ideologicamente con ambienti della sinistra) contro docenti, scrittori, personale diplomatico, luoghi e persone appartenenti alle comunità ebraiche Italiane, che, di volta in volta, venivano identificati come rappresentanti di Israele e della sua società.
Questi episodi si fondano e prendono spunto, putroppo, anche da quella costante deformazione dell'informazione operata (consapevolmente o meno) dai media Italiani e che riconduce la rappresentazione di Israele a quella di "Stato oppressore" e infanticida.
Nella nostra società, così fragile, ansiosa, aggrappata tenacemente all'idea cattolico-comunista della solidarietà, dell'uguaglianza, del diritto al diritto, dello Stato "garante della pace e della serenità", la figura dello "Stato oppressore e infanticida" desta ovviamente sentimenti fortemente ostili; paradossalmente più ostili di quelli che suscitano gli attentati terroristici in genere (in quanto i terroristi vengono considerati, più o meno, alla stregua di "dementi", di "incapaci di intendere e volere", pertanto i loro crimini vengono giudicati con quella tipica clemenza a cui la nostra stessa giustizia penale ci ha da lungo abituato; una specie di "attenuante" che non si può certo riconoscere alle azioni compiute da un Stato).

Il giornalismo pubblico, di Stato, in quanto pagato con i soldi di quasi tutti gli Italiani, dovrebbe essere garanzia di equilibrio e professionalità, e proprio per questo ha più effetto di altri mezzi di informazione sulla formazione dell'opinione pubblica, proprio perchè i suoi utenti "si fidano"; pertanto, laddove l'informazione sia distorta dal giornalismo di stato, maggiore è l'effetto disinformativo, e più grave la Colpa.

Purtroppo la distorsione è tanto forte quanto difficilmente identificabile dalla maggioranza degli Italiani che, si sa, non dedicano molto tempo alla lettura nè all'approfondimento.
Il fatto è che la deformazione inizia proprio con "la notizia", o meglio, con LA SCELTA della notizia; e qui, finalmente, mi ricollego all'inizio di questo Post.

Ascoltando attentamente tutto il servizio mandato in onda oggi su tutti i TG nazionali, si capisce chiaramente che dalla striscia di Gaza sono giorni che vengono lanciati decine di "razzi", per non dire "missili", sulle case e sulle teste degli Israeliani, uomini, donne, e bambini inclusi.
Come mai di questo FATTO (di cui certamente i giornalisti inviati e le nostre redazioni erano perfettamente a conoscenza) NON E' STATA DATA NOTIZIA?
Mi ricordo perfettamente che, circa vent'anni fa, per il solo fatto che una paio di esplosioni sono state udite vicino alle coste di Lampedusa, per i giorni a seguire i giornali e telegiornali Italiani hanno riempito pagine e ore di trasmissione per dare e trattare "LA NOTIZIA" riguardo a due presunti missili lanciati, presumibilmente, dalla Libia.
Perchè, allora, mi domando, la gragnola di "missili" che da mesi e mesi, viene lanciata dai palestinesi di Gaza sugli Israeliani, bambini inclusi, producendo, danni, feriti, qualche morto, e molto, molto terrore, non viene considerata dalle redazioni dei telegiornali di Stato, degna di diventare "notizia"?
Non dico un un servizio al giorno, visto che i lanci sono quotidiani, ma almeno uno alla settimana! giusto per mantenere nell'opinione pubblica una certa consapevolezza sul reale stato delle cose e non, piuttosto, indurre gli Italiani a credere che, per il solo fatto che i giornali nostrani non ne parlano, i palestinesi concedano periodi di "tregua" alla popolazione Israeliana (come gli stessi giornalisti spesso si ritrovano a dire).

Insomma, se i palestinesi "bombardano" gli Israeliani, di questo non viene data notizia agli Italiani, ma se Israele reagisce e attacca le postazioni da cui partono i missili palestinesi, il fatto diventa immediatamente degno di occupare un posto nella scaletta dei telegiornali.

E' difficile capire perchè il continuo e quotidiano attacco "razzistico/missilistico" dei palestinesi contro uomini, donne e bambini Israeliani (quindi deliberatamente contro "civili") non sia ritenuto degno di essere NOTIZIA, mentre la reazione Israeliana sì.

Ma è facile, invece, capire che questa SELEZIONE delle informazioni, già da sola è sufficiente a distorcere la rappresentazione della realtà.
L'ascoltatore è inevitabilmente indotto a ritenere il lancio dei "razzi" palestinesi SPORADICO e sostanzialmente inoffensivo (il nome stesso "razzo", invece di "missile", aiuta questa percezione); la stessa assenza di "interesse" giornalistico sul fatto sostiene l'idea che gli effetti letali di questi lanci siano trascurabili... sennò i giornali ne parlerebbero... no?

Per cui... se i razzi palestinesi sono, tuttosommato, innocui... come si può giustificare una così imponente e violenta azione militare Israeliana, con tanto di morti palestinesi civili e bambini, da diventare immediatamente oggetto di notizia su tutti i giornali di Stato?

IL FATTO è che i razzi palestinesi non sono meno letali delle classiche bombe a mano e il loro lancio quotidiano nella misura di centinaia alla settimana (una vera e propria forma di bombardamento), li rende tutt'altro che innocui causando danni e feriti gravi con amputazioni di arti pure tra bambini.

Ma la percezione che gli Italiani ricevono è chiaramente tutt'altra.
A contribuire a ridurre la percezione della gravità e degli effetti terroristici dei "bombardamenti" palestinesi, c'è pure la scelta delle parole usate dal giornalista per introdurre il servizio.
Su di un TG RAI di oggi, l'azione militare Israeliana è stata definita come una risposta al lancio dei razzi palestinesi "sul territorio Israeliano".
E' chiaro che in questo modo si sposta l'attenzione dal fatto principale, (ovvero sull'intento dei palestinesi di colpire, ferire, e possibilmente uccidere, quanti più israeliani possibile bambini compresi) e si rende la comunicazione molto più asettica e meno emotiva; insomma un conto è dire che i palestinesi lanciano i razzi contri "il territorio Israeliano", un'altro dire che li lanciano contro "i civili e i bambini Israeliani".

Al TG1 riferiscono che l'attacco Israeliano ha causato la morte di circa trenta palestinesi, soprattutto "miliziani", ma anche una decina di "civili" tra cui sette donne e tre "bambini".
Al TG3, addirittura, il riferimento ai "miliziani" è scomparso e la notizia è stata data così:
"...sono stati uccisi circa trenta palestinesi tra cui sette donne e tre bambini"(sic!).
Direi che la versione del TG3 è, come al solito, quella più "deformante".

Detta in questo modo si lascia intendere che l'effetto dell'attacco Israeliano è stato quello di "uccidere palestinesi" e, cosa ancora più abberrante, "bambini palestinesi".

Già a questo punto dell'analisi possiamo comprendere che l'opinione indotta dai giornali RAI sull'ascoltatore non può condurre ad altro che a questa idea: che i palestinesi, sebbene lancino razzi di tanto in tanto, sono innocui, che la reazione di Israele è ingiustificata, e, inoltre, è spropositata (trenta morti) razzista (diretta contro "i palestinesi") e crudele (contro i bambini).

Potrei anche fermarmi qui, perchè già queste osservazioni sono sufficienti a dare un'idea di quali sono i piani su cui si muove la dis-informazione giornalistica pubblica e di quanto facilmente si possa indurre un'idea deformata della realtà mediante la semplice "selezione" delle notizie e delle "parole" usate per definire "i fatti";
Un'idea, in questo caso, ingiustamente pregiudizievole delle ragioni, degli intenti, e degli effetti delle azioni del governo Israeliano e del suo esercito; con l'effetto "devastante" di rendere Israele una specie di Stato "Mostro" e attirando su di esso l'ostilità e l'animosità dell'opinione pubblica Italiana così formata.

Ma voglio aggiungere un ulteriore appunto alla questione "qualitativa" più sopra accennata.
Mi riferisco alla distinzione tra "terroristi", "miliziani", "civili", e bambini, che viene sistematicamente fatta durante i servizi dei nostri TG mentre si "contano" gli effetti degli interventi militari Israeliani contro "i palestinesi" o contro "il campo profughi" palestinese (oramai delle vere e proprie località in "stile" arabo; ma continuare a chiamarle "campi profughi" aiuta a trasmettere l'idea di "luogo della sofferenza") .
Ovviamente la valutazione e la reazione emotiva è ben diversa se ad essere "vittima" dell'azione militare Israeliana sono dei "miliziani", piuttosto che dei semplici (ed innocenti) "civili", piuttosto che (ancora più innocenti) "donne", o peggio (super innoccentissimi) "bambini".
Quindi, dire "gli Israeliani hanno ucciso 27 terroristi, tra cui cinque donne, e tre adolescenti" è ben diverso che dire "gli Israeliani hanno ucciso 30 palestinesi, tra cui cinque donne e tre bambini".

Nel primo caso si può immaginare che l'azione militare sia stata, necessaria (perchè rivolta contro i "terroristi"), precisa e mirata; che le donne pure partecipano alle attività belliche palestinesi (come in effetti accade), e le "vere" vittime, pur essendoci, sono relativamente poche.
Nel secondo caso, invece, la cosa assume le forme di una strage; anzi, di una strage di innocenti.
L'attaco risulta essere indiscriminatamente contro "i palestinesi", "i civili" (visto che non si menzionano nè miliziani e nè tantomeno "terroristi" , e contro gli innocenti (donne e bambini).

Ora... visto che la "qualificazione" e la distinzione tra "miliziani" e "civili" la fanno direttamente le fonti palestinesi ( in particolare i presidi ospedalieri) che, ricordiamolo, NON VENGONO VERIFICATE e, visto e considerato che i "miliziani" palestinesi spesso indossano abiti civili, e che la differenza tra "miliziano" e "terrorista" è una questione molto chiara (gli uni "combattono", gli altri colpiscono deliberatamente e vigliaccamente "i civili""nemici") ma difficilmente provabile e documentabile, va da sè che le "fonti palestinesi" (ben consapevoli del diverso impatto emotivo sull'opinione pubblica occidentale), tendono a qualificare come vittime "civili" il maggior numero di persone per avvalorale l'idea che l'attacco Israeliano è tutt'altro che "mirato".
Lo stesso dicasi per la qualifica di "bambino" a cui noi tendiamo ad associare maggiormente l'idea dell'innocenza e, quindi, della "vera vittima".
Ora è ben noto che in palestina l'uso delle armi anche tra giovani e giovanissimi non è certo un fenomeno limitato; cosa impedisce alla "fonte informativa" o al "giornalista" di definire "bambino" un palestinese di 11,12 o 13 anni?
Ipotizziamo che tra i "miliziani" palestinesi colpiti dall'esercito Israeliano ci fossero pure due ragazzini di 12 anni tutt'altro che "inconsapevoli"... chi impedirà al giornalista di definire anche quei due "ragazzini in armi" dei "bambini (innocentissimi)"?
In fondo non sta scritto da nessuna parte a quale ètà si finisce di essere bambini... basta guardare certi esponenti politici... Craxi, Mastella... nel momento in cui sono stati accusati di fare qualcosa di illecito, la prima cosa che hanno detto è stata: "ma lo fanno anche gli altri!"
Stesse parole che userebbe un bambino di 6 anni!

Purtroppo però, in questo caso, il richiamo della figura del "bambino" come vittima ha l'effetto di evocare l'idea della "strage di innocenti"; un'immagine molto forte, molto emotiva e molto "giornalistica" (nel senso che il giornalismo "rampante" è sempre alla ricerca affannosa di notizie, e immagini, che suscitino forti emozioni, reazioni); l'uso forzato di questa immagine porta, come dicevo sopra, ad una ulteriore deformazione della realtà, in cui a farne le spese è costantemente soprattutto il giudizio dell'opinione pubblica sull'operato del governo Israeliano e sulle sue azioni militari; un giudizio inevitabilmente teso alla condanna senza appello.

Il controsenso di oggi è questo:
Che le redazioni dei TG nazionali ritengano gli interventi militari Israeliani degni di immediati servizi giornalistici di informazione e denuncia, mentre alle quotidiane gragnuole di granate lanciate dai palestinesi sulle teste degli Israeliani non viene dato nemmeno lo spazio di un trafiletto.

Saluti e...
buoni controsensi a tutti.

mercoledì 13 febbraio 2008

Che misero stipendio!


Prendo spunto dalla puntata di ieri sera (12/02/08) di "Porta a Porta", trasmessa su RAIUNO, per mettere nero su bianco il sentimento di stupore con retrogusto di indignazione che già altre volte in passato mi ha colto assistendo scene che, a mio giudizio, non possono essere altro che "sceneggiate".

Il fatto è che, da ché esistono i sindacati e i contratti nazionali, ogni stagione è buona per piangere sulla "magrezza" delle buste paga e per invocare aumenti salariali... ovviamente su queste rivendicazioni e su questo tipo di malessere c'è tutta una fetta politica e politicante che ci campa e che ha interesse ad enfatizzare la percezione del disagio sociale collegato alla questione salariale.
Infatti, in questo ambito la competizione politica si è svolta come una specie di corsa al rialzo nell'essere più bravi degli "altri" a manifestare maggior sentimento di compassionevole tristezza verso chiunque fosse ascrivibile alla categoria dei "lavoratori dipendenti" ( ovviamente per lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, visto che non appartengono alla suddetta categoria, nessuna compassione "a prescindere" ) , accompagnando tale sentimento al maggior sdegno possibile per il livello retributivo che, "a prescindere", non poteva essere definito altro che "misero".
A prescindere da che? a prescindere dal fatto che ci sono parecchie categorie di "lavoratori dipendenti", ad esempio magistrati e dirigenti pubblici, che guadagnano più di lavoratori autonomi, artigiani o commercianti che oltrettutto, magari a seguito dell'evoluzione del mercato, a differenza dei suddetti lavoratori dipendenti, col passare del tempo, invece di vedere aumentare i loro guadagni, li hanno visti via via diminuire; basti pensare ai calzolai, alle officine di riparazione delle biciclette, ai piccoli fruttivendoli... privi di qualunque garanzia retributiva ( mica possono rivolgersi ad un "tribunale del lavoro" se un cliente non torna più ad acquistare da loro o gli contesta il corrispettivo ) e in balia dell'evoluzione del mercato delle merci e dei servizi, e DELLE LEGGI(!).
Giusto ieri sera alla trasmissione "Ballarò" su RAITRE, l'on. Franceschini del neocostituito PD, non ha avuto nessuna remora nel prendere i "lavoratori autonomi" come esempio di "evasore fiscale" e contemporaneamente ribadire la assoluta innocenza fiscale "a prescindere" del "lavoratore dipendente" ( l'accostamento è stato fatto in un tentativo di "equità di condanna" dove i primi sono da condannare per evasione, i secondi, semmai, per non fare il loro dovere ).
A prescindere da che? dal fatto che è molto facile ed è esperienza comune a tutti, imbattersi in lavoratori dipendenti privati e pubblici ( questi ultimi a maggior ragione visto che spesso godono di orari che gli consentono di avere mezza giornata libera ) che effettuano lavori artigianali o di consulenza, o di assistenza, "in proprio" e assolutamente "in nero" ( elettricisti, muratori, idraulici, estetiste, ma anche insegnanti, infermieri, tecnici del Comune o delle Agenzie del Territorio, Vigili del Fuoco, Vigili Urbani... etc, etc... ), quindi, con evasione fiscale totale.

Tornando alla gara a chi è più bravo a "strapparsi le vesti" parlando dei "miseri" stipendi dei lavoratori dipendenti, c'è da dire che, in effetti, se perfino il lauto stipendio di parlamentare, sufficente da solo a far campare dieci operai tessili, è ritenuto da più di qualche esponente politico "appena sufficiente" a coprire le spese; figurarsi come deve apparire ai loro occhi una retribuzione che è un decimo di quella a cui sono ormai abituati.

Ma, in aggiunta alla "questione salariale", da quando poi lo Stato Italiano, entrando in Europa, ha cominciato a stringere i cordoni della borsa e contemporaneamente ad "aspirare" quanta più liquidità possibile dalle tasche degli Italiani per far fronte agli impegni Europei di "stabilità economica" ( e meno male! ), si è cominciato a versare sempre più copiose lacrime anche sul "fronte" delle pensioni.
Giusto verso gli anni '90 nasce il PdP, il Partito dei Pensionati... come era prevedibile, anche attorno alla questione "pensionistica" si è sviluppato tutto un dibattito politico in cui la competizione ricalcava esattamente quella a "difesa dei salari" con l'unica differenza che "lavoratori dipendente" è stata sostituito con "pensionato" e "retribuzione/salario" con "pensione"... il tutto ovviamente sempre all'insegna dell'"a prescindere".

Ecco che, come in tutte le competizioni, anche in questa si è concretizzato il "rischio dopping".
Infatti, per ovvie convenienze politiche ma anche giornalistiche ( si sà, i giornali/giornalisti sono sempre alla ricerca della notizia "sensazionale" o, in mancanza, di quella che crea scalpore, o che smuove gli animi, i sentimenti, e ditemi voi, se un bell'articolo o un bel servizio sulla giovane famigliola che non guadagna abbastanza per mantenere sè e i suoi figli o sul pensionato che non arriva alla "quarta settimana", beh... non tocca forse il cuore delle persone? ), si sono manifestati sempre più casi "artificialmente gonfiati".

E qui torno alla puntata di ieri sera di Porta a Porta... un caso esemplare di dopping informativo o, se vogliamo di caso "artificialmente gonfiato".
Ma prima di dire chiaramente a cosa mi riferisco, voglio ricordare la puntata di "Forum", trasmessa l'altro ieri pomeriggio su Rete4 perchè, come direbbe un noto ministro dell'ultimo governo Prodi, "qui c'azzecca" e come che c'azzecca.

Si trattava di una causa in cui da una parte c'era un uomo che lavorava come muratore e guadagnava circa 1700Euro/mese, dall'altra la sua ex moglie che assieme ai loro tre figli viveva nella ex casa coniugale di proprietà del marito il quale era tenuto a versare alla moglie 1000Euro/mese per il mantenimento dei figli e della moglie.
L'ex moglie si è rivolta al giudice perchè, da alcuni mesi, il marito, avendo scoperto casualmente che la donna aveva una piccola fonte di reddito ( circa 4-600 euro/mese ) non gli corrispondeva più per intero l'importo dovuto ma solo 700Euro (ovvero solo parte destinata al mantenimento dei figli).
Ebbene, è qui interessante notare che il pubblico in studio e pure i votanti via Internet hanno letteramente "stroncato" le ragioni dell'ex moglie; l'accusa che maggiormente gli veniva rivolta era di essere insensibile alle difficoltà economiche del marito ( a cui inizialmente rimanevano 700Euro al mese per mantenersi ), e, considerato il reddito complessivo di "ben" 1100-1300Euro/mese su cui poteva contare, non era affatto nelle condizioni "morali" di chiedere al marito di continuare a sacrificarsi come all'inizio visto che ( e qui sta il punto a cui volevo arrivare ), visto che 1200-1300E/mese sono sufficienti al mantenimento suo e dei tre figli piccoli ( senza affitto, nè mutui ).
La conduttrice, Rita Dalla Chiesa, legge pure una e-mail, ricevuta durante la trasmissione, dove una signora sosteneva che nella sua famiglia con un stipendio di 1000E/mese vivono in quattro! ( per cui biasimava la donna in causa perchè, con "soli" tre figli e "ben" 1200-1300Euro di reddito, poteva permettersi senz'altro di farseli bastare ).
La stessa Rita Dalla Chiesa, di norma sempre attenta a non sbilanciarsi troppo nel giudizio, è giunta a definire "indifendibile" la ex-moglie la quale continuava a denunciare fortemente il suo "bisogno" di continuare a ricevere per intero l'assegno di mantenimento ( 1000E ) perchè i altrimenti, a dispetto di tutti quelli che sostenevano il contrario, "non ce la faceva" a coprire tutte le spese.

Ecco...
arrivo alla puntanta di Porta a Porta...
c'è il Cav. del Lavoro Silvio Berlusconi in studio...
il conduttore, Bruno Vespa, vuole introdurre una domanda al suo ospite per mezzo di un breve servizio... un'intervista... la domanda, come potete immaginare, verterà sul caro vita e sui salari.
Inizia il servizio...
un uomo e una donna, coniugi, di mezza età si presentano...
impiegata Lei... impiegato Lui...
Con un espressione triste, triste e il tono di voce sommesso di una persona avvilita rispondono alle varie domande poste dall'intervistatore.
Che reddito avete? Lei: 1500E - Lui: 1700.
Totale: 3200Euro, ogni mese, SICURI(!)
Molta gente in quelle condizioni avrebbe un sorriso da un'orecchio all'altro ma i nostri protagonisti no, anzi, al contrario espressione triste e tono sommesso ( per non parlare del tono di voce usato dell'intervistatore nel porre le domande, quel tipico tono di chi ha quasi ritegno nel porre domande che "fanno soffrire", perchè costringono l'intervistato a raccontare il suo "dramma" e l'ascoltatore a diventarne partecipe ).
L'intervista continua:
...e, ce la fate ad arrivare a fine mese?
- Eehh (sospiro) a fatica... sà... il mutuo per la casa ( nuova?), la rata per l'automobile (nuova?), le bollette, i figli ( maggiorenni che vivono per conto loro ) da aiutare, le tasse... etc... etc...
Man mano che i "testimonial" della coppia avvilita dalla difficile situazione economica in cui versa, elenca i costi a cui fa fronte mensimente, sullo schermo televisivo viene fatto comparire il totale progressivo; a fine intervista la cifra raggiunge quota... indovinate un po!... 3100!
Siiii! incredibile! a fine mese questi coniugi non riescono a risparmiare più di 100 Euro!
Il servizio si chiude poi in modo "teatrale" con l'inquadratura del libretto con le foto delle viaggi/vacanza trascorsi che in futuro, la coppia non potrà più permettersi.

A questo punto la domanda sorge spontanea...
ma se l'ex moglie della succitata puntata di Forum si è vista rivolgere innumerevoli aspre critiche per il fatto che lamentava la sua incapacità di far fronte alle spese mensili con "soli" 1300E al mese, cosa avrebbero fatto o detto gli ospiti in studio a Forum se si fossero trovati di fronte la coppia "testimonial" di Porta a Porta che, con un reddito più che doppio di quello della donna e con soli due figli ( maggiorenni e indipendenti ), arrivano a fine mese spendendo quasi tutto?


E allora un conto è mostrarsi tristi e avviliti perchè non si riesce ad avere tutto quello che si vuole o a mantenere tutto quello a cui si è stati abituati fino a quel momento; un'altro conto è vivere con l'ansia di non riuscire a potersi permettere nemmeno lo "stretto necessario".
E con "stretto necessario" mi riferisco ovviamente alla versione più economica possibile di queste "merci": alimenti, vestiti (anche di seconda mano), un tetto, servizi e prodotti per l'igiene, riscaldamento, istruzione, un mezzo di trasporto autonomo (anche usato).

E qui finalmente posso spiegare l'indignazione a cui facevo riferimento all'inizio di questo mio post.

E' o non è indecente che, con tutte le famiglie Italiane che versano VERAMENTE in condizioni di incipiente indigenza, coppie e singoli che rischiano non potersi permettere nemmeno lo "stretto necessario", un servizio giornalistico importante come quello RAI prenda come esempio di "famiglia in difficoltà" una coppia di coniugi che DI FATTO gode di un buon reddito e il cui problema principale è, semmai, decidere su quali delle cose che desidera acquistare dovrà risparmiare?

E' o non è indecente che delle persone che avrebbero tutte le ragioni per ritenersi benestanti e, comunque, tutt'altro che a rischio indigenza, vadano in televisione a mostrare la loro faccia triste, pensierosa e avvilita?
Perchè delle due l'una: o sono davvero convinti di essere in difficoltà economiche, e allora sarebbe meglio che cominciassero a guardarsi intorno, o fanno "la scena" a favore e nell'interesse del giornalista, ed allora quella "sceneggiata" risulta essere un deliberato insulto a coloro che VERAMENTE versano in gravi difficoltà economiche.

Ecco, anche se non escludo la prima ipotesi, propendo per la seconda.
Ma la cosa stupefacente è che dopo la "testimonianza" nessuno dei presenti alla trasmissione "giornalistica", e tantomeno il personaggio politico di turno, ha sollevato dubbi sulla reale condizione dei coniugi presi ad esempio nel servizio.
Questo ha purtroppo un senso:
Al giornalista interessa il "pathos"; non importa come... purchè si "pianga".
L'importante non sono i contenuti... sono le facce tristi, i toni sommessi, i volti avviliti... semmai si preoccuperà, giusto per un minimo di coerenza sul tema, che la differenza tra entrate e uscite del "testimonial" sia vicino allo zero.
Al personaggio politico non importa "chi piange" e se "ha reale motivo a piangere", l'importante è far vedere che pure Lui, il politico, partecipa della sofferenza e "piange", meglio se dimostra di saper piangere anche più degli "altri" (politici).
Del resto "anche i ricchi piangono", e se un politico non dimostra solidarietà verso le "ansie" ( giuste o sbagliate che siano ) di quello che potrebbe essere un esempio di "Italiano medio" rischia di attirarsi le antipatie di quelli che in quell'esempio si riconoscono... insomma... "anche i ricchi... votano!"

La cosa potrebbe passare inosservata o forse anche risibile se non fosse che ha due effetti collaterali decisamente disdicevoli:
- Il primo di ordine morale: spendere tempo e informazione pubblica a parlare di "finta sofferenza" quando di vera ce n'è a palate è un insulto a chi la vera sofferenza la vive tutti i giorni sulla propria pelle.
- Il secondo di ordine sociologico: se si fa passare il messaggio mediatico che non c'è un limite di reddito al di sopra del quale è giusto e doveroso ritenersi benestanti, automaticamente si legittima CHIUNQUE a lamentarsi per le proprie "difficoltà economiche", indipendentemente dal fatto che queste siano REALI ( incapacità di procurarsi il minimo necessario ) o dovute al differenziale tra ciò che ci si può permettere e ciò che si desidera avere. In pratica si "promuove" il malcontento in ogni fascia sociale.

Come accennavo all'inizio di questo mio post, purtroppo mi è capitato già altre volte in passato di assistere ad altri casi "indecenti".
Più o meno agli inizi degli anni novanta ricordo chiaramente di aver visto un servizio giornalistico RAI in cui veniva intervistata una insegnante in pensione che, quando nel contempo la maggior parte dei pensionati raggiungeva a malapena il milione di Lire, dichiarava di percepire due milioni di Lire al mese e (udite, udite!) si lamentava con l'intervistatore delle sue difficoltà di "arrivare a fine mese".
Altro caso: sempre negli anni novanta mi è capitato di leggere un articolo sul giornale locale che riportava l'iniziativa di un gruppo consigliare di sinistra ( mi pare si trattasse proprio di Rifondazione Comunista ), di portare nella sala del Consiglio Comunale un "lavoratore dipendente" a testimioniare la difficoltà economica della classe sociale a cui apparteneva; ebbene tra le migliaia di lavoratori che nel territorio comunale percepivano appena più del milione di Lire, in un periodo nel quale uno stipendio da due milioni era considerato "lauto", quegli esponenti politici non sono riusciti a presentare al Consiglio Comunale niente meno che un autista della locale azienda dei trasporti pubblici; un para-statale, con orari agevolati, iper-garantito nei diritti e nella continuità lavorativa che, inoltre, a quel tempo percepiva circa... 1.700.000 Lire al mese! e, di grazia, di cosa avrebbe dovuto lamentarsi costui?
E quegli esponenti della politica locale... con che faccia-tosta, mi domando, avranno argomentato le "gravi" difficoltà economiche in cui versava il loro "testimonial"?

Ecco...
mi pare, a questo punto di aver chiarito e documentato la fonte dello "stupore con retrogusto di indignazione" di cui avevo detto nelle prime frasi di questo post.

Penso che non sarà difficile che concordare con il mio punto vista e , comunque , ogni commento sarà benvenuto.

Il controsenso di oggi è questo:
Discutere in pubblico di povertà e disagio economico portando come esempio persone oggettivamente "benestanti". (Un insulto a chi la povertà la vive veramente).

Saluti e...
buoni controsensi a tutti.

venerdì 21 dicembre 2007

Auguri a chi ha coraggio

Circa otto anni fa ho letto un'articolo sul quotidiano "Il Gazzettino" che recitava più o meno così: - Solo il 40% degli intervistati non si è detto contrario all'intervento militare Italiano in Afghanistan mentre ben il 20% si è dichiarato nettamente contrario. Dato che in Francia i dipendenti pubblici manifestano per rivendicare retribuzioni più elevate, come si vede, anche in questa occasione, Berlusconi ha agito senza tenere conto dell'opinione pubblica. -

Quell'articolo me lo ricorderò finchè campo; no, non le parole esatte... l'assurdità.

E come se dicessi - "mia moglie, oltre a lavorare come insegnante, si occupa solo dell'80% delle faccende domestiche, mentre io dedico ben il 5% del mio tempo ad aiutarla. Dato che il costo della benzina è sempre in aumento, come si vede, mia moglie potrebbe impegnarsi per cucinare meglio" - sicuramente a chiunque mi stesse ad ascoltare sorgerebbero seri dubbi sul mio stato di salute mentale.

Ecco, quando vedo le trasmissioni condotte da Santoro, ogni volta, ma dico OGNI VOLTA, c'è sempre qualcosa che mi richiama alla memoria l'assurdo articolo sopra citato.
Anche ieri sera, in una puntata di Annozero tutta incentrata sul "caso" Forleo ( ovvero sul giudice che, per aver motivato la richiesta di utilizzo di intercettazioni telefoniche in cui erano coinvolte figure eccellenti del panorama politico Italiano, si è ritrovata a subire ignobili intimidazioni e pure un procedimento disciplinare ) con tanto di mini-fiction che ricostruiva le vicende della Dott.ssa Forleo e delle persone che con l'hanno "avvicinata" a vario titolo, Santoro ha "infilato" la trasmissione in diretta dell'intercettazione telefonica di Berlusconi che, alla fine, chiede al direttore di Rai Fiction di valutare l'ingaggio di due ragazze la cui sorte sta a cuore ad un senatore della maggioranza che potrebbe "convertirsi" all'opposizione... insomma un banale caso di "raccomandazione"; uno tra i milioni di casi che nel pubblico impiego ( come pure in quello privato ) contribuiscono all'individuazione della persona adatta per un ruolo laddove non sia previsto un concorso ( tutto normale, se non fosse che nel privato le qualità del "raccomandato" vengono poi poste al banco di prova; mentre nel pubblico, non solo un "raccomandato" alla prova non idoneo viene mantenuto al suo posto, ma può trovarsi a usurpare un incarico assegnato per concorso che, in assenza di illegittime interferenze, sarebbe stato di altri ).

La domanda sorge spontanea... che cavolo c'entra quella intercettazione con il caso Forleo? Nulla; non c'entra nulla se non per il fatto che la vicenda Forleo è collegata a delle intercettazioni telefoniche che vedono coinvolte delle figure politiche, e quella mandata in onda da Santoro è una intercettazione telefonica a carico di un politico eccellente.
Ovviamente il tempo "occupato" dalla trasmissione dell'intercettazione non ha apportato alcun contributo all'approfondimento della gravissima e drammatica vicenda del giudice Forleo e, a questo punto, non può non sorgere il dubbio che la scelta di Santoro sia stata strumentale e informata da una personale avversione a Berlusconi.

Detto questo non posso negare che la puntata di ieri 20/12/2007 sia stata di grande valore giornalistico ( nel senso del contributo all'informazione pubblica su un argomento di scottante attualità ) e che la scelta della mini-fiction sia stata molto d'impatto nel creare un'idea chiara e impressionante del susseguirsi di inviti, avvertimenti, e pretestuose accuse di cui la Dott.ssa Clementina Forleo è stata oggetto da quando ha "osato" portare fino dentro il parlamento l'indagine che stava seguendo.
Ma sopratutto devo dare atto a Santoro di aver dimostrato, anche in questo caso, di essere una persona coraggiosa, di essere un giornalista che non è disposto a piegare la sua ricerca della verità a considerazioni di opportunità professionale o di quieto vivere; un giornalista "coraggioso" capace di affrontare e discutere in pubblico vicende torbide che gli possono facilmente procurare pericolose inimicizie.

E di coraggio ne deve avere molto, soprattutto in questo momento, anche il GIP Clementina Forleo; e ci si può dimenticare del magistrato di Catanzaro De Magistris che, sempre ad AnnoZero, ha ricevuto il sostegno morale della Forleo, e che già prima di lei è incorso nelle ritorsioni di un sistema che punisce chi "tocca i fili"? Un'altra persona coraggiosa, come lo sono stati Borsellino, Falcone, Dalla Chiesa; una persona che affronta a testa alta tutte le avversità che derivano dalla sua volontà di perseguire il crimine senza distinzioni perchè, per lui almeno, la Legge, deve essere uguale per tutti. E allora, voglio concludere questo mio breve scritto facendo a queste persone coraggiose

Tanti Auguri di Buon Natale!
che possa essere riscaldato dall'affetto
delle persone a voi care e dei veri amici

Auguri a De Magistris, a Clementina Forleo e pure anche a quella "testa dura" di Santoro, perchè continuino ad essere coraggiosi e possano essere d'esempio per tutti coloro che sono chiamati a compiere scelte di giustizia, sacrificio e verità; perchè in questo malandato paese di coraggio ce n'è molto bisogno... anche per lavorare onestamente.

controsensi.it